Al corso di teatro lei lo aveva notato da tempo: Reemek, si fa chiamare “Reem”, carnagione scura, nato in Iraq da mamma italiana e padre iracheno, anni 32.
Lo riteneva molto affascinante, con quei suoi lineamenti regolari e gli occhi chiari, ma con taglio asiatico, quindi particolarmente incisivi e trovava che il suo fosse uno sguardo molto profondo.
Quella sera, finito il corso lui le chiese di accompagnarlo a casa poichè era a piedi, la sua auto l’aveva prestata al cugino.
Greta, lo guardò inarcando le sopracciglia e allargando gli angoli della bocca in un atteggiamento di dispiaciuta rassegnazione. Gli disse che era venuta in scooter e che, essendo così bassa di statura, si trovava in difficoltà a caricare le persone.
Ovviamente la risposta pronta di Reem fu di non preoccuparsi: avrebbe guidato lui, spergiurandole che sarebbe andato molto piano per non terrorizzarla.
Infatti lui, molto attento a ciò che gli accadeva attorno, più volte le aveva sentito dire che aveva paura ad essere trasportata in moto da qualcuno e che si fidava solo di quando guidava lei.
Il tragitto si prospettava lunghino, pensò lei: da Casteldebole fino a Bologna, quartiere San Donato, dove abitava lui con i genitori – ma questi ragazzi non escono mai di casa? – tuttavia si fece convincere.
L’allegria di Reem, il suo sorriso disarmante che sapeva conquistare tutti, e non ultima la sua simpatia nell’indossare, dopo il casco, gli enormi occhiali da donna senza lenti che erano serviti a lei per la recitazione, bastarono a divertirla e tranquillizzarla.
E poi era finalmente con lui, cosa desiderava ancora?
Il viaggio, seduta nel retro del motorino, che a lei non piaceva affatto come posizione in quanto da lì non si vedeva nulla, inizialmente fu gradevole.
Lui portava un dolce profumo speziato e quelle spalle larghe le davano un’insolita sicurezza. Come poteva sentirsi sicura con uno sconosciuto? Ma si sa, l’imponenza fisica spesso da spazio a questi terribili errori di valutazione.
I primi trecento metri furono sereni, lei era estasiata dal profumo dell’aria che accarezzava la pelle del collo di lui e che la inebriava.
Lui, dal canto suo, non era minimamente rapito da nessuna sensazione romantica. Quello era un semplice viaggio da un capo all’altro della città, a lui conveniente e basta, non si preoccupava affatto di sentire nulla.
Tuttavia, catturato anche lui dall’aria leggera, si trovò improvvisamente nel vortice dei suoi pensieri più bui che, come scintille di memoria lontane, si facevano strada dentro al suo corpo, attraverso quella solita, terribile, sensazione di bruciore interno, proprio lì, tra la schiena e la gola.
Improvvisamente, non ricordandosi che stava trasportando proprio lei, cominciò a correre sempre più forte, alla ricerca di una libertà desiderata e mai raggiunta, e nel sentire l’irrigidirsi delle mani di Greta che affondavano sempre di più nei suoi fianchi provò un sottile piacere, perchè quel dolore alla vita era l’unico modo per non fare caso ai suoi brucianti pensieri.
Con lo scooter cominciò a correre a destra e a sinistra lungo la strada, deserta per fortuna, ma molto buia, in un pazzo slalom di terrore. Poi tornò indietro qualche metro e si rimise in carreggiata velocemente, creando delle circonferenze semplici che fecero impazzire di paura Greta, che ormai aveva compreso di essersi fortemente sbagliata a riporre fiducia nella guida di quel ragazzo che, tutto sommato, non conosceva nemmeno.
Lui nel buio del suo oblìo vide dei mostri paurosissimi, vide la sofferenza provata alla morte di suo padre, vide l’indifferenza dei suoi fratelli davanti alla guerra, vide il viaggio forzato dall’Iraq all’Italia con la mamma, vide la maestra che lo sgridava perchè non era bravo come i suoi compagni, vide il suo diploma ottenuto con il minimo dei voti e la madre che piangeva dal dispiacere, vide la sua carrirera appena iniziata e ancora molto lontana dal chiamarsi tale, vide tutto, vide l’invisibile, vide ciò che pensava che fosse e che in verità non era.
Vide ciò che tutti noi vogliamo vedere quando non vogliamo allontanarci dalla sofferenza. E vide la forza della rassegnazione che l’aveva fatto sopravvivere fino ad ora, sua acerrima nemica che però le aveva salvato la vita.
Greta, ormai ammutolita, si rese conto che doveva fare qualcosa per fermarlo, qualsiasi cosa. Nella disperazione, così sul momento, non sapeva davvero cosa fare e rischiava, senza saperlo, di venire aspirata dalla negatività di lui e dai suoi orridi pensieri, pur non conoscendoli.
Quando ad un tratto si ricordò che il meccanico, la settimana prima, le aveva installato un antifurto, un semplice, minuscolo interruttore che, spinto, scollegava il motore, serviva per dissuadere i ladri, che solitamente si sa, sono impazienti.
Allora con le mani si avvicinò al manubrio e spinse l’interruttore nascosto al di sotto del contachilometri. Il motorino di colpo si fermò.
“Che bella cosa la tecnologia e riuscire a raggirarla” pensò lei, mentre il suo cuore cominciò a calmarsi un pochino.
Reem come risvegliatosi da un brutto sogno, sentì lo scooter fermarsi piano, con un lamento di morte, rimase completamente spiazzato e ne perse il controllo. Il motorino barcollò ed entrambi si trovarono sull’asfalto, ma fu una caduta dolce e curiosamente divertente.
In quell’istante Reem si accorse che erano già arrivati a San Donato, e mentre lei si muoveva per terra come una pozzanghera la vide sorridere e di colpo dimenticò tutti i suoi cattivi pensieri.
Di colpo il buio di quell’asfalto nero fece affondare tutte le sue paure e il sorriso di lei gli riaccese la speranza di una nuova esistenza, di una vita migliore, da iniziare con fiducia e con amore.
Si guardarono in silenzio e poi lei lo abbracciò forte, come non ricordava di avere fatto mai con nessuno prima di allora.